Un passaggio epocale, non solo anagrafico
Da pochi giorni e con i soliti problemi legati soprattutto al turn over degli insegnanti, magari ancora senza cattedra, e dei presidi “ multiuso “ è iniziato un nuovo anno scolastico. Sono in aumento – anche dalle nostre parti – gli iscritti alle superiori, in calo i più piccoli delle materne e della primaria. Da registrare una importante novità che riguarda l’aspetto anagrafico: gli studenti presenti a scuola, ad eccezione di qualche ripetente, sono nati tutti nel terzo millennio. Li potremmo definire come i fratelli minori dei Millennials. Questa generazione infatti è nata in un mondo tutto digitale, chi ne fa parte ha usato “Internet” sin da piccolo ed è cresciuto di pari passo con l’avvento dei social network. Non solo, questa è la generazione che è venuta al mondo mentre si combatteva la battaglia internazionale contro il terrorismo e l’economia conosceva la più grave crisi dai tempi della recessione. Ora, per un ragazzo che ha visto la luce dopo il 2000 lo stacco dal passato diventa – a maggior ragione – un qualcosa di lontano, non solo sotto il profilo numerico, ma soprattutto emotivo, quasi affettivo e quindi, in definitiva, uno stacco culturale. Sì proprio culturale è l’aggettivo giusto, perché entrano in gioco diversi fattori tra cui spicca la sempre più marcata differenza generazionale tra docenti e discenti ( il 58% dei professori ha più di 50 anni), non dando certo per scontata una sua distanza più consapevole, con il vantaggio – magari – di scoraggiare l’eterna tentazione di assimilare il mondo giovanile a quello adulto, o peggio di adeguarsi, per eccesso di complicità, ai loro comportamenti.
Sono anni, ormai, che si parla di far rete tra le varie generazioni per venire incontro ad una realtà che si presenta articolata, ma sempre più insostenibile. Per fortuna non mancano tante eccellenze giovanili, ma – ancora una volta – si fa notizia delle eccezioni e non di tante cose ordinarie la cui conoscenza potrebbe incoraggiare e sollecitare a cambiare ottica nelle relazioni giovani-adulti. Una sfida aperta e tutta in salita, non trascurando il fatto che potrebbe davvero essere arrivato il momento di rivedere anche i polverosi programmi scolastici, cominciando magari ( finalmente! ) a considerare il Novecento come il “ nostro “ secolo, anche se non sarà più – a tutti gli effetti – il secolo “ loro “. Questo passaggio epocale, così carico di valori simbolici, dovrà – ci si augura – spingere verso una precisa assunzione di responsabilità. Non è possibile che la nostra scuola nasca male, già sbagliata, nel senso – per usare una metafora – di avere gli ingranaggi ingrippati che mai riusciranno a trasportare efficacemente e dare risposte concrete ai nostri ragazzi portandoli tra i nuovi sentieri del mondo. Dovrebbe rappresentare un dato significativo ed interrogare a fondo chi ha responsabilità di governo da Roma a Portogruaro, perché il ruolo dell’istruzione, della formazione e della ricerca risultano basilari per il futuro delle nuove generazioni. Non solo per quanto attiene l’efficienza delle strutture edilizie, ma soprattutto se l’accento viene posto sul grande tema dell’educare, dei vari soggetti interessati e delle alleanze educative che ne dovrebbero conseguire. Problemi complessi che non si possono affrontare con improvvisazione, pena un pericoloso dilagare del culto dell’incompetenza. Per questo non può che sorprendere come il mondo della scuola e dell’università non abbiano fatto sentire la propria voce, rivendicando con forza la propria missione educativa, riguardo alla pesante carenza nei programmi elettorali e di governo di temi legati alla conoscenza, che dovrebbero invece rappresentare il costrutto prioritario di una società che vuole determinare il futuro dei propri cittadini. Un tema non da poco, se si pensa – come esplicita il Rapporto ISTAT 2018 – che l’Italia è uno dei Pesi più ignoranti d’Europa, agli ultimi posti anche come numero di laureati. Eppure l’ignoranza non è più un tabù, anzi il sapere è quasi un vanto ed un programma di vita. Quanti genitori – anche oggi – continuano a fare sacrifici enormi per consentire ai propri figli di studiare, convinti di non voler affatto il ripetersi di quanto loro successo in anni difficili di un passato non troppo lontano. Come dire che l’istruzione e la formazione non possono essere considerate un inutile investimento di tempo e di energie. Siamo anche un Paese che produce poca conoscenza, che la trasmette male e che ancor peggio non la nobilita. Succede – nel suo piccolo – anche in riva al Lemene, basti vedere gli importi al ribasso nel bilancio comunale riguardo “ assi portanti “ della cultura e del sapere.” Università e Musica “ sono gli esempi più emblematici per capire o meglio per non riuscire a capire il perché e il dove si voglia arrivare. Eppure c’è tanto silenzio in giro! Accostando le persone, singolarmente o anche attraverso loro libere aggregazioni, ci si accorge che tanti tacciono, si tirano in disparte non tanto perché non hanno niente da dire, magari non pensano niente, ma perché – il più delle volte – hanno la sensazione di non essere ascoltati. Ecco riemergere con forza, tra le primarie necessità della scuola, la peculiarità di educare allo spirito critico, condizione indispensabile per ottenere una buona educazione, corretta cittadinanza e concreta cultura, più che mai oggi – immersi come siamo – in una società multietnica e multiculturale.
Gigi Villotta
26 Settembre 2018