Non un costo, ma un investimento
Anche se sono diventati di moda i sondaggi via web, non capita tutti i giorni che un capo di governo chieda esplicitamente ai propri amministrati di esprimersi sul “ social network “ riguardo le riforme avvertite tra le più urgenti. Lo ha fatto Matteo Renzi lanciando, nei giorni scorsi, un particolare appello. Non so concretamente quanti e quali riscontri avrà, certo che l’invito non può essere sottaciuto, tanto meno fatto cadere nel vuoto. La domanda che pone, a quale riforma si debba prestare maggiore attenzione, interpella tutti, se non vogliamo – ancora una volta – girarci dall’altra parte e poi magari lamentarci o peggio protestare.
Ho fatto mia la domanda e mi sono anche dato una risposta: Non avrei dubbi nell’indicare” le politiche a favore della famiglia “ nella consapevolezza che questo obiettivo prioritario coniuga altri temi come scuola, giovani e lavoro. Provo a spiegare perché ritengo che il sostegno alle famiglie sia oggi da ritenersi preliminare anche per affrontare altre problematiche di grande rilevanza quotidiana.
Dobbiamo partire da una constatazione, da un dato di fatto che nel tempo è venuto via via aggravandosi. Dall’ ultimo rapporto ISTAT esce infatti l’immagine di un Paese in cui l’aumento della mortalità mostra un livello mai raggiunto nel secondo dopoguerra e va di pari passo con il più basso numero di nascite. Il risultato appare evidente con un saldo naturale che raggiunge pesanti percentuali negative.
Un simile scenario dovrebbe indurre un sussulto di preoccupazione, una scossa capace di mobilitare tutte le forze responsabili, a cominciare dalla classe politica, dai media e perché no anche dai nostri intellettuali che fanno opinione.
A dire il vero, sono settimane che – in parlamento e fuori – si parla e si discute su coppie e bambini, ma, ad avviso di tanti, a prevalere ancora è una forma di pensare incardinata più sui diritti individuali piuttosto che guardare ad un futuro condiviso attraverso una capacità di pensare ed agire insieme. Sono infatti proprio i comportamenti e le scelte delle persone, di tutti noi a determinare l’andamento dei fenomeni di cui si parlava prima e che segnano di fatto i cambiamenti in una popolazione.
Tutto questo avviene però in stretta correlazione con contesti ben definiti come quello sociale, economico, normativo ed ambientale, dove tutti siamo chiamati a vivere e a interagire. Come sostengono molti sociologi, in ultima analisi i comportamenti demografici degli italiani riflettono semplicemente le loro attuali condizioni di vita, con inevitabili decisioni personali e familiari spesso dettate da situazioni oggettive di solitudine e prive di aspettative di fronte a difficoltà di vario genere e scelte che richiedono un preciso impegno.
Di casi pesanti ognuno di noi è buon testimone, nei settori più disparati e delicati che toccano da vicino la stessa dignità dell’uomo. E’ arrivato dunque il momento, come ben continuano a sollecitare sia il presidente Mattarella che papa Francesco, per svolgere una seria ed approfondita riflessione sullo “stato di salute” delle famiglie, perché su di esse ha finito per cadere il notevole peso della crisi economica ed occupazionale.
Tanto più, e questo va detto con forza, che la famiglia continua a dare un contributo decisivo alla nostra società, facendosi spesso carico di tante insufficienze da parte dei servizi pubblici. Non più parole e promesse, come bastasse nominare un nuovo ministro o un assessore dedicato a questo fondamentale referato, ma politiche concrete che presuppongono precisi impegni ed investimenti, a tutti i livelli.
Perché l’attuale governo, confermando la stessa volontà d’azione dimostrata negli ultimi passaggi sulle unioni civili, non convoca la III Conferenza nazionale sulla famiglia, per porre finalmente mano a inderogabili e gravi problemi che travagliano la vita quotidiana degli italiani? Un’impresa impossibile? No, di certo, anche se la strada è in salita!
Si parla tanto di Europa ed allora guardiamo in casa d’altri per capire di cosa si sta parlando. Anche qui ci vengono in aiuto dati precisi: se confrontiamo i dati relativi al PIL investito nelle politiche per la famiglia, ci accorgiamo che il nostro Paese spende l’ 1,4% contro il 2,4% della media europea. Tradotto in soldi sono circa 16 miliardi di euro che mancano e che potrebbero invece favorire interventi sulla casa, al sostegno diretto di nuclei familiari con figli, al lavoro giovanile, agli anziani non autosufficienti che per tre quarti sono curati in famiglia, per non parlare di strumenti operativi come ad esempio la “carta famiglia”, una politica fiscale adeguata che sostenga le giovani coppie e aiuti le donne a conciliare lavoro e cura della famiglia.
Qualche economista sostiene che trattasi di una spesa insostenibile per lo Stato, ma Luigino Bruni fa giustamente osservare che un Paese che riduce la spesa a favore della famiglia finisce per impoverirsi anche economicamente. Ragionamenti per esperti di alto profilo, ma per una pratica traduzione basterebbe leggere attentamente i report annuali da parte della CARITAS, dal centro alla periferia, per rendersi pienamente conto della portata dei vari fenomeni che toccano da vicino “ le miserie umane “, non certo legate solo al complesso fenomeno della migrazione. Decisamente da Roma a Venezia, fino ai nostri comuni, ognuno per le proprie competenze, si tratta di un lavoro lungo che dovrà portare ad una svolta, che anche stavolta non potrà che essere “ culturale “, a condizione però che la politica ribalti completamente l’approccio con cui si affrontano le diverse delicate questioni.
Non si dovrà più pensare alle politiche familiari come “un costo”, ma come “un investimento” che si ripaga nel tempo. Culturale perché deve avere riflessi precisi anche sotto l’aspetto sociale, non pensando più ai giovani soltanto come figli, come fossero un bene privato, ma soprattutto un bene prezioso per l’intera comunità se la stessa vuol guardare ad un futuro di vera crescita e benessere.
Gigi Villotta 26 febbraio 2016